
Hayao Miyazaki, il maestro dell’animazione giapponese
L’estro nipponico di colui che ha concepito personaggi pieni di incanto in nome della fratellanza tra tutti i popoli ed il rispetto per la natura, trasportandoci in una fantasiosa dimensione fatta di creature magiche e scenari da sogno.
Hayao Miyazaki è considerato uno dei più celebri animatori della storia del cinema e secondo molti il più grande regista d’animazione vivente. Il suo nome è inoltre legato a quello dello Studio Ghibli, studio cinematografico d’animazione da lui fondato nel 1985 insieme al collega e mentore Isao Takahata.
Hayao Miyazaki nasce a Bunkyō, uno dei 23 quartieri speciali di Tokyo, il 5 gennaio 1941. Nonostante la guerra in atto, trascorre un’infanzia tranquilla e agiata, tranne per la malattia della madre. Suo padre Katsuji, ingegnere aeronautico, è il direttore della Miyazaki Airplane, azienda di famiglia che produce componenti aeronautici. L’azienda costruisce timoni per aeroplani progettati da Jiro Horikoshi tra i quali anche i famosi e temutissimi caccia Zero, che nel lungometraggio Si alza il vento divengono fulcro della trama. L’attività del padre e tutto il suo contesto contribuiscono fortemente ad accrescere la sua passione per il volo e per le macchine volanti, elementi ricorrenti nella sua produzione artistica.

Durante il liceo scopre la bellezza dei manga e degli anime, nonché il piacere del disegno. Dopo essersi laureato in Scienze Politiche ed Economia nel 1963, decide di voler prender la via della grafica e si fa assumere dalla più antica casa d’animazione giapponese, la Toei Animation, dove conoscerà la moglie Akemi Ota, anche lei animatrice, che sposa nell’ottobre del 1965 e dalla quale ha due figli (anche loro disegnatori). Alla Toei Animation si fa subito notare per i suoi lavori, e qualche anno più tardi viene promosso ad animatore capo e concept artist per il film di Isao Takahata Horus – Principe del Sole. Tra lui e il regista nascerà un fortunato e lungo sodalizio destinato a cambiare il destino dell’animazione giapponese.

Nel 1971 dirige alcuni episodi della prima serie di Lupin III. In seguito gli viene affidato il concept di serie animate relative ai più famosi libri per l’infanzia di tutto il mondo. Così viene alla luce: Heidi , Dagli Appennini alle Ande e Anna dai capelli rossi. Nel 1978 da’ vita ad una delle sue più fortunate produzioni a episodi: Conan il ragazzo del futuro (1978). In uno scenario post-apocalittico in cui la razza umana sembra quasi del tutto estinta, Conan è un ragazzo che vive su un isola sperduta insieme al nonno, ex astronauta sopravvissuto alle distruzioni nucleari. La vita sull’isola è gioiosa e Conan trascorre il suo tempo a pescare, innamorato della natura circostante. Un giorno incontra sulla spiaggia una ragazzina della sua stessa età di nome Lana, sfuggita da una nave di cospiratori. I due viaggeranno insieme alla scoperta di mille avventure e riusciranno a liberare il resto dell’umanità oppressa dal dispotismo dei “cattivi”. Diventato un cartone leggendario tra gli affezionati degli anime, è un inno all’ottimismo, alla libertà e al potere della gioventù, desiderosa di cambiare il mondo.

È il 1979 la data del suo primo lungometraggio : Lupin III – Il castello di Cagliostro, ennesimo successo internazionale che lo porterà a firmare altri episodi della serie. Nel 1982 firma 6 episodi de Il fiuto di Sherlock Holmes e sempre nello stesso anno è primo disegnatore per la rivista Animage, qui pubblica il manga Nausicaä della Valle del vento che diventerà anche un film. Gli incassi ottenuti permettono a Miyazaki di fare il grande salto: fondare uno studio di produzione proprio.
Così nel 1985 dalla partnership tra Miyazaki e Takahata, nasce lo Studio Ghibli, dal nome dell’aereo italiano della Seconda Guerra Mondiale, omaggio a sua volta di un vento caldo che soffia nel deserto del Sahara. Finalmente libero di dare sfogo alla propria immaginazione, il maestro da’ inizio ad una serie di lungometraggi che diventeranno delle vere e proprie pietre miliari.

Il primo lavoro che nasce dallo Studio è Laputa – Castello nel cielo (1986), che non tradisce le aspettative dei fan. In Giappone il film vince il premio come miglior film d’animazione. Miyazaki cura personalmente ogni particolare, riprendendo molti dei temi e dei paesaggi già trattati quali l’ecologismo, l’antimilitarismo, l’avversione per la sete di potere umana e la fiducia, malgrado tutto, in sentimenti come l’amore e l’amicizia.

La trama narra della giovane Sheeta tenuta prigioniera dal cinico colonnello Muska a bordo di un’aeronave diretta verso la fortezza Tedis. Durante il volo, in una notte rischiarata dalla luna, l’aeronave viene attaccata da una banda di pirati guidata dall’audace Dola, che vuole impossessarsi del ciondolo che la ragazzina porta al collo. Questo ha un valore inestimabile: permette di vincere la forza di gravità e localizzare la leggendaria isola fluttuante di Laputa, dove – si racconta – sono custoditi immensi tesori e un potere inimmaginabile. Sheeta riesce però a fuggire, finendo tra le braccia di un giovane minatore di nome Pazu che, da quel momento, decide di proteggerla unendosi a lei nella ricerca dell’isola e dei suoi misteri.

Nel 1988 esce Il mio vicino Totoro, film in parte autobiografico. La storia narra la vita di due sorelle, Satsuki e Mei, che si trasferiscono insieme al padre in un paesino di campagna per andare a vivere più vicini alla madre delle bambine, ricoverata in ospedale. Quando Miyazaki e i suoi fratelli erano piccoli, la loro madre aveva sofferto di tubercolosi spinale per nove anni, trascorrendo molto del suo tempo in ospedale. Di conseguenza nel film, anche se non viene mai rivelato, la madre di Satsuki e Mei soffre anch’essa di tubercolosi. Le due piccole protagoniste sono alle prese con lo stesso dramma, da cui “fuggono” scoprendo la natura circostante l’ospedale abitata di meravigliose creature. Con Totoro il regista racconta per la prima volta il mondo a lui più caro, quello dei bambini dove il dettaglio più insignificante rappresenta la grande scoperta e un sentiero poco battuto, l’inizio di una grande avventura.

Totoro nasce dalla fusione di alcuni animali quali l’orso, il procione e la talpa, e il suo nome deriva dalla parola scandinava troll pronunciata alla maniera giapponese dalla piccola Mei, che nel corso del film inventa tale nome, è solita sbagliare alcune parole a causa della giovane età chiamando i girini “girelli” e le pannocchie “pastrocchie”.

«Non è uno spirito: è semplicemente un animale. Credo viva di ghiande. Presumibilmente è il custode della foresta, ma è solo un’idea raffazzonata, una vaga approssimazione.»
Il film realizza incassi modesti e solo con il tempo acquista popolarità. Studio Ghibli, per altro, a causa dei costi di produzione dei film, comincia con il tempo a versare in una situazione economica precaria. Si decide allora di vendere i diritti di uso del personaggio ad un produttore di giocattoli il quale, a due anni di distanza dal film (che intanto in Giappone aveva acquistato popolarità), mette in commercio dei peluche del personaggio. Le vendite risultano strepitose, e parte dei guadagni dei pupazzi va allo Studio Ghibli che, così, può risollevarsi economicamente. Totoro in persona, in pratica, ha salvato Ghibli dalla bancarotta, motivo per cui il personaggio è divenuto il simbolo dello studio di animazione.

Nel 1989 con Kiki – Consegne a domicilio, iniziano i successi al botteghino. Il lungometraggio narra di una giovane strega che lascia la sua città natale per trovare la sua indipendenza. Superando molte difficoltà, la ragazza riuscirà a trovare il suo posto nel mondo. Come tutte le eroine miyazakiane, anche la giovane Kiki è contraddistinta da un carattere forte e combattivo, che metterà in mostra nei momenti opportuni per superare gli ostacoli che incontrerà nel suo percorso di formazione verso la maturità.
I film di Miyazaki sono caratterizzati da un elemento costante: la presenza della magia. Il regista utilizza la magia sia come chiave di lettura della realtà, con la quale la protagonista si confronta sino a costruire una propria identità, sia come un invito allo spettatore a vedere il mondo con lo sguardo limpido e privo di pregiudizi dei bambini.

Kiki – Consegne a domicilio è un invito, l’ennesimo, ai giovani (giapponesi e non) a recuperare la propria cultura e agli adulti affinché educhino e guidino le nuove generazioni; nonché a preservare il bambino che è in noi e la capacità di guardare la realtà con occhi fanciulleschi.
«Quando si cerca il paradiso è necessario tornare con la memoria alla propria infanzia.»

Nel 1992 Miyazaki porta a termine Porco Rosso, liberamente basato sul manga Hikōtei jidai, creato dallo stesso regista.
Siamo alla fine della prima guerra mondiale e gli aviatori, ormai disoccupati, sono diventati “pirati del cielo” seminando il terrore con l’attacco delle rotte navali sull’Adriatico. Marco Pagot, alias Porco Rosso, per effetto di un misterioso incantesimo ha il muso tramutato in quello di un maiale. E’ un cacciatore di taglie che, con il suo biplano rosso fuoco, si presta a contrastare i pirati e a recuperare quanto viene da loro rubato. I Pirati del cielo, stanchi di essere perennemente inseguiti da questo “giustiziere” a pagamento, decidono di eliminarlo. Per farlo si servono di Donald Curtis, un bellissimo aviatore americano privo di scrupoli che lo costringerà a nuove battaglie per salvare il proprio onore e quello di una radiosa fanciulla, per la riconquista di un perduto amore e della fiducia nell’umanità.
Porco Rosso è la perfetta cartina di tornasole per cogliere alcuni temi portanti della poetica di Miyazaki. Sotto le vesti del divertissement, infatti, ecco spuntare il lato più politico e libertario del regista nipponico, incarnato nell’anarchico escapismo di Porco Rosso, eroe senza tetto né legge, solitario come un ronin errante, a rifiutare ogni forma di omologazione.

«Non esistono uomini più gradevoli di coloro che pilotano gli idrovolanti: il mio nonnino lo diceva sempre. E questo perché sia il cielo che il mare, entrambi, lavano gli animi di tutti loro. Per questo i piloti di idrovolanti sono più impavidi dei marinai, e sono più fieri dei piloti di semplici aeroplani.»
Non stupisca il cognome italiano del personaggio: Porco Rosso è percorso da continui omaggi e riferimenti al Belpaese. Ambientato sui cieli dell’Adriatico, con una ‘trasferta’ urbana tra i capannoni e i navigli dell’operosa Milano, cita tanti nomi di figure storiche realmente esistite (come l’aviatore Arturo Ferrarin), ispirandosi per i disegni dei velivoli ai veri modelli che hanno fatto la storia dell’aviazione italiana. Senza contare, in primis, il nome del protagonista, tributo alla famiglia dei Pagot, pioniera dell’animazione in Italia.

Dopo alcuni anni di lavorazione esce nel 1997, Principessa Mononoke, film ambientato alla fine del 1300, al termine del Periodo Muromachi, e si concentra sullo scontro tra i guardiani soprannaturali protettori della foresta e i Tatara, uomini senza scrupoli che distruggono i boschi sempre alla ricerca di nuove risorse per tenere in vita una ferriera dove vengono prodotti moschetti. In un remoto villaggio tra le montagne, Ashitaka, l’ultimo guerriero del quasi estinto clan degli Emishi, è costretto a uccidere un mostro, Nago, per proteggere il suo villaggio. Troppo tardi scopre che quella creatura sotto forma di demone-cinghiale è in realtà un dio protettore della foresta, trasformato dal rancore che lo aveva indotto ad attaccare il villaggio. Uccidendolo, Ashitaka attira su di sé una maledizione che presto lo porterà alla morte; per questo si mette in cammino alla ricerca di una cura.
Miyazaki non vuole raccontare una storia accurata del Giappone medievale, ma vuole “ritrarre i primi albori del conflitto, apparentemente insolubile, tra il mondo naturale e la civilizzazione industriale moderna.”

Tra sangue, materia organica indecifrabile, spettacolari battaglie corali, luci mistiche, spiriti e demoni giganteschi, Miyazaki raggiunge un climax visionario e personalissimo, qui più che mai retto dalla varia e mai banale colonna sonora di Joe Hisaishi.

Nel 2001 esce La città incantata, un consueto successo in patria ma anche nel resto del mondo, ottenendo l’Orso d’Oro al Festival di Berlino e l’Oscar 2003 per il migliore lungometraggio di animazione. E’ la prima volta che un cartone animato giapponese vince dei premi così ambiziosi. Il premio per altro non viene ritirato personalmente in segno di protesta contro la guerra in Iraq; anni dopo, infatti, Miyazaki dichiara di non aver voluto partecipare alla premiazione degli Oscar perché «non volevo far visita a un paese che stava bombardando l’Iraq.»
Miyazaki in questo lungometraggio ha messo insieme lo spirituale, il fantastico e il realistico, e tutti concordano sul fatto che La città incantata sia il suo capolavoro – nonché il film di animazione più bello di tutti i tempi.

«I film della Disney toccano il cuore, ma quelli di Studio Ghibli toccano l’anima.»
Il film, liberamente ispirato al romanzo fantastico Il meraviglioso paese oltre la nebbia della scrittrice Sachiko Kashiwaba, narra le avventure di Chihiro, una bambina di dieci anni che si introduce senza rendersene conto, insieme ai genitori, in una città incantata abitata da yōkai (spiriti). Qui i genitori della bambina vengono trasformati in maiali dalla potente maga Yubaba e la piccola protagonista decide di rimanere nel regno fatato per tentare di liberarli.

Seppur destinato ad un pubblico di bambini, il film riscuote pieni consensi da tutte le fasce di età per il realismo rappresentato, soprattutto del personaggio di Chihiro.
Come ha fatto notare il critico Roger Ebert nella sua recensione del film, ogni fotogramma è fatto con un’incredibile quantità di “generosità e amore”. Ogni singolo frame è abitato da decine di creature differenti, ogni minimo dettaglio disegnato a mano riempie gli angoli o lo sfondo, là dove qualcun altro non avrebbe posto alcuna attenzione.

Nel 2004 Miyazaki partecipa alla 61ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia con il film Il castello errante di Howl, tratto dall’omonimo romanzo di Diana Wynne Jones. Una storia, che per quanto fedele allo spirito del libro, ha subìto molte modifiche dando vita ad una trama intricata e piena di eventi.
Il film presenta molte delle caratteristiche tipiche delle opere di Miyazaki: ha come protagonista una ragazza ed ha un’ambientazione che ricorda nei costumi e nell’architettura l’Europa degli inizi del Novecento, con la presenza della magia. Gli avvenimenti si svolgono in una nazione fantastica che ricorda l’Alsazia e la Vienna imperiale tra il tardo Ottocento e il primo Novecento. Le particolarissime macchine da guerra volanti, mosse dalla forza del vapore, caratterizzano l’opera come appartenente al filone steampunk.

La giovane Sophie, 18 anni, lavora senza posa nella boutique di cappelli ereditata dal padre ormai scomparso. Durante una delle sue rare uscite in città, conosce Howl il Mago. Fraintendendo la loro relazione, una strega lancia un maleficio terribile su Sophie e la trasforma in una vecchia di 90 anni. Prostrata, Sophie fugge e vaga nelle terre desolate. Per puro caso, entra nel Castello Errante di Howl e, nascondendo la sua vera identità, si fa assumere come donna delle pulizie. Da lì inizierà per lei un’avventura piena di magia allo scopo di sciogliere la maledizione che la affigge.
E’ un film in cui la metafora fa da padrone. I temi principali del film sono sicuramente la vecchiaia e la bellezza, due argomenti strettamente legati tra loro. Sophie è una ragazza che mortifica la propria bellezza e la propria giovinezza sacrificando entrambe in nome del lavoro e del senso del dovere. La sua trasformazione in anziana quindi non è altro che l’esternazione della sua vecchiaia interiore. Un cambiamento che paradossalmente tirerà fuori in lei grinta e determinazione, mostrando come la protagonista abbia una bellezza ed un’energia interiori uniche. Se da ragazza Sophie è gravata dalla responsabilità che le ha fatto abbondare ogni sogno e reso la vita monotona, trasformatasi in vecchietta ritrova tutto lo slancio e la grinta che aveva perso. È la sintesi tra l’energia giovanile e il disincanto dell’età avanzata. Questa avventura donerà alla ragazza molta saggezza, simboleggiata dal colore dei suoi capelli che rimangono grigi nonostante l’incantesimo venga spezzato.

A differenza di Sophie, Howl è l’incarnazione della bellezza esteriore. Il mago è ossessionato dalla sua bellezza. Moderno narciso incapace di pensare ad altro, sicuro del suo appeal, dal design cool, è il classico bello e dannato. Un personaggio inizialmente arrogante e superbo che fa della sua bellezza esteriore il suo vanto più grande e di cui non può fare a meno.
I due personaggi sono lo specchio dello stesso Miyazaki: per primo la novantenne Sophie, poiché la vecchiaia è un tema che accompagna ossessivamente il regista, Howl invece è la personificazione della sua creatività. È un contrasto tra il suo desiderio di rinnovamento e il voler rimanere fedele a sé stesso. Rappresenta inoltre il legame tra i sogni infantili e la loro realizzazione attraverso la passione per il proprio lavoro.

«Non sono io a fare il film. Si fa da solo e io non posso far altro che seguirlo.»
Ne Il castello errante di Howl, la magia si fa nuovamente metafora della creatività. I personaggi si muovono attraverso incantesimi e affrontano maghi, spiriti e demoni.
Nel 2005 viene premiato alla 62ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia con il Leone d’Oro alla carriera.

Nel 2008 esce Ponyo sulla scogliera, tratto dal racconto Iya Iya En della scrittrice giapponese Rieko Nakagawa, illustrato da Yuriko Yamawaki, presentato in anteprima alla 65ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia.
E’ ispirato dalla leggenda giapponese di Urashima Taro (un pescatore salva una tartaruga dalle acque e come ricompensa viene ammesso nel mondo sottomarino) e dal film della Walt Disney La Sirenetta.

La storia narra di Sosuke, un bimbo di cinque anni che vive in cima a una scogliera. Una mattina, giocando sulla spiaggia sotto casa, trova Ponyo, una pesciolina rossa con la testa incastrata in un barattolo di marmellata. Sosuke la salva e la mette in un secchio di plastica verde. Tra i due nasce subito un legame forte e Sosuke promette a Ponyo che si prenderà cura di lei. Ma il padre di Ponyo, un tempo umano che ha lasciato la terra per l’acqua prendendo in moglie la Madre del Mare lo obbliga a tornare con lui nelle profondità del mare. Decisa a tentare la fuga e a scegliere per sé un destino umano, Ponyo rovescia accidentalmente l’elisir magico del padre, trasformandosi in una bambina e alterando la quiete del mare.

E’ un film sulla maturazione interiore, sul passaggio dall’infanzia all’età adulta, rappresentato dalla graduale uscita di Ponyo dall’universo della magia, che coincide con la scoperta di un mondo nuovo e di un amore con cui crescere.

Nel 2013 esce la sua ultima produzione: Si alza il vento, una lettera d’amore e di addio di struggente bellezza. Durante la presentazione del film alla 70ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia annuncia, tramite il presidente dello Studio Ghibli Koji Hashino, il proprio ritiro dalle attività cinematografiche.
Si alza il vento racconta la vita del progettista realmente esistito Jirō Horikoshi. È chiaro come l’intento del regista fosse il voler sottolineare la magnificenza degli aerei e di come le cose belle, anche se usate per scopi sbagliati, siano sempre opera del genio e della dedizione di qualcuno. Con questo ultimo lavoro il regista ci ha trasmesso tutto se stesso, i suoi sogni, la sua visione del mondo e della vita; il suo messaggio è: insegui sempre i tuoi sogni senza mai farti sopraffare dalle difficoltà che incontrerai.

Il protagonista di Si alza il vento è Jiro, personaggio che racchiude in sé due individui realmente esistiti e vissuti nella stessa epoca: Jirō Horikoshi, l’ingegnere aeronautico che disegnò e creò il leggendario aereo da combattimento Mitsubishi A6M1, meglio noto come “Zero” e lo scrittore Tatsuo Hori, il cui romanzo breve ha dato spunto sia per il titolo del film che per la storia d’amore tra Jiro e Nahoko. Jiro per certi versi può essere considerato come una proiezione di Miyazaki stesso.
In questo film il regista riversa tutta la sua passione per il volo, elemento presente in ogni suo film, e per il suo lavoro a cui negli anni si è dedicato sempre con passione. Ma è anche una storia d’amore nel senso più letterale del termine, quella tra due persone. Due persone che sono i protagonisti di una moderna tragedia greca. Sia perché l’azione si svolge in un tempo in cui lo spettatore può riconoscersi, sia perché Jiro e Nahoko si (ri)troveranno anni dopo il loro primo incontro. Infine perché il loro amore sboccia in un momento di difficoltà, messo a dura prova sin da subito (prima il terremoto e poi la malattia di lei). Jiro e Nahoko sono la summa di tutti i personaggi dei film precedenti, ma con la consapevolezza e la maturità di un uomo e una donna. Jiro e Nahoko non sono altro che la versione adulta di Ashitaka, Sosuke, Pazu, Porco Rosso, Nausicaä, Mei, Satsuki, Sheeta, Kiki, Fio, Mononoke, Ponyo che sono finalmente cresciuti e hanno acquisito lo stadio ultimo della maturità.

«Credo che le anime dei bambini siano le eredi della memoria storica delle generazioni precedenti»
Nel 2014 quattro dei suoi lungometraggi (La città incantata, Principessa Mononoke, Il castello errante di Howl e Ponyo sulla scogliera) sono inclusi nella classifica dei 10 più alti incassi della storia in Giappone. Nel novembre dello stesso anno in cui gli viene conferito l’Oscar onorario dall’Accademy.
Nel 2016 però Miyazaki rileva di voler tornare al lavoro. Si tratterebbe dell’opera cinematografica dal titolo Kimi-tachi wa dō ikiru ka la cui traduzione in italiano sarebbe “E voi come vivrete?”, ispirata al romanzo omonimo del 1937 di Genzaburō Yoshino.
«Il film riguarda il modo in cui questo particolare libro sia stato prominente nella vita del protagonista».

