Arte

I GRANDI MAESTRI: CARMELO BENE

di Cristina Stendardo

«Bisogna diventare il proprio capolavoro».

Genio folle, provocatore, artista del paradosso, pioniere di un nuovo stile. Carmelo Bene ha rivoluzionato il concetto di teatro attraverso il continuo autosmentirsi e la disarticolazione dei canoni stabiliti dal personaggio. Nella sua prolifica carriera, si è calato in svariati ruoli reinterpretando grandi classici, Shakespeare, Wilde, Cervantes fino a Collodi, sempre immerso nel gusto per lo scandalo, espresso in ricercatezze istrionico barocche. Bene non recita ma è fautore della cosiddetta “macchina attoriale” tramite la scrittura di scena, dove si opera il dis-fare e si annulla l’ufficiale rappresentazione della trama fino allo stravolgimento del testo sul modello delle teorie Laforghiane, in favore dell’osceno (il fuori dal sè) con il tipico “gesto spezzato”.

C.B. inventa una personalissima amplificazione della voce, la phonè, che permette allo strumento umano di esprimersi sul palcoscenico per mezzo di un ventaglio di modalità vocali, dalla più bassa alla più profonda e divenire così opera protagonista quanto lo è la musica concertistica, da lui tanto amata.

«Ho bisogno sempre di leggere, di essere detto, non di riferire la cosa, nella totale assenza di presunzione cho lo scritto corrisponda all’orale. Lo faccio per dimenticare, non per ricordare. Uso la lettura come oblio».

Il Carmelo Bene Pensiero è frutto diabolico di una formazione letteraria mastodontica e altrettanto significativa: Nietzsche, Schopenhauer, Lacan, Artaud (che affermava: fate la guerra al testo), Kierkegaard, Giovanni della Croce, San Giuseppe da Copertino. L’influenza del sacro pervade tutta la sua infanzia poiché nasce in quel luogo da lui stesso definito: “il Sud del Sud dei Santi”, il Salento. Negli anni quaranta, viene su’ contorniato da una famiglia matriarcale allargata in un fervido clima religioso. Serve messa per gioco vestito da chierichetto. Probabilmente è in risposta a questo che dobbiamo il suo conseguente spirito dissacratorio tanto da fargli firmare la sua prima autobiografia con il titolo: Sono apparso alla Madonna.

E’ la lettura di un altro classico la chiave di volta per un ulteriore sviluppo del suo stile, l’Ulisse di Joyce, a cui dedica una rivisitazione psichedelica nel film da lui diretto e interpretato: Nostra Signora dei Turchi, girato per lo più tra le sontuose mura di Villa Sticchi, affacciata sul mare di Santa Cesarea Terme, un omaggio alla sua terra natia ma soprattutto location perfetta per echi orientaleggianti. In apertura, la sua voce fuori campo descrive il sacrificio degli ottocento Martiri d’Otranto che non vollero convertirsi all’Islam degli invasori.

La pellicola destò scandalo e tumulti alla Mostra del Cinema di Venezia del 1968, e C.B. il protagonista, combatte se stesso, dilaniato nel tormento del perenne dilemma tra Eros e Thanatos, e nulla possono fare le apparizioni di Santa Margherita in suo soccorso. Si racconta che durante le riprese, l’attrice Lydia Mancinelli, compagna di Carmelo, così agghindata nei costumi di scena, venisse scambiata per la Madonna dalla gente del posto che tentava in tutti i modi di toccarla o di chiederle una benedizione. Leggenda o verità?

Pinocchio è l’unica pièce teatrale che Bene lascia quasi intatta poiché a suo parere già perfetta così. Il burattino di legno, eterno bambino dispettoso e bugiardo, diventa per lui metafora di purezza spirituale che si perde con l’età adulta. “Col teatro non si scherza, in quanto lo scherzo è adulto e il gioco è infantile. I bambini non scherzano, giocano. A dimostrazione di ciò per esempio, il verbo ‘to play’ in inglese significa giocare ma anche recitare”.

Tra le tante opere, lo ricordiamo autore di Lorenzaccio, Un Amleto di meno, Cristo 63, Salomè, Il Mal de’ Fiori, Un dio assente, oltre che interprete sublime di grandi poeti come Majakovskj e Leopardi.

Indimenticabili sono anche le sue partecipazioni al Maurizio Costanzo Show dove dispensa le sue massime come un papa eretico davanti ad un pubblico sbigottito, poi la passione calcistica e il totale disprezzo per la categoria dei critici che lui definisce: farisei della cartaccia stampata, galoppini.

 «Per capire un poeta, un artista, ci vuole un altro poeta o un altro artista. Chi siete voi per mettere parola sul mio operato, siete forse Henry James o Emile Zola? No. E allora dovete solo tacere».

Proprio recentemente, la città di Lecce ha deciso di dedicargli uno spazio espositivo presso il Convitto Palmieri, in cui verrà raccolto il suo patrimonio librario, documentario e collezionistico.

Nei confronti delle nuove generazioni, Carmelo Bene risulta profetico ancora prima dell’avvento della tecnologia informatica:

«I giovani sono i più fregati di tutti. Non leggono, non hanno curiosità. Si gonfiano di slogan che sostituiscono alla cultura, che spacciano per cultura, senza aver nulla da dire. Urlano e fanno rumore. Sono già pronti per l’archivio, per il convento».

Condividi questo articolo

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *