
“The End” – The Doors
The End rimane certamente a tutt’oggi il brano più celebre dei Doors, se non altro il più “chiacchierato”. Oltre alla inconsueta ma amabilissima lunghezza dell’introduzione musicale, vi è il testo. In esso si celebra l’eterna tragedia di Edipo Re, cantata da Soflocle e rimasta nell’incoscio collettivo dell’umanità, perennemente rinnovata in ogni legame familistico. La storia narra di un bambino, Edipo, abbandonato alla nascita dalla madre, che cresce inconsapevole delle proprie origini. Per una serie di casualità, finisce per uccidere il proprio padre e sposare la madre. Nel secolo Novecento, il padre della psicanalisi Sigmund Freud sviluppò la nota teoria del Complesso di Edipo che si sviluppa in età infantile, per spiegare una latente gelosia tra padre e figlio verso la moglie/madre.
In origine, la strofa più propriamente edipica non era compresa nel testo del brano ma fu frutto di una geniale improvvisazione, durante un concerto dal vivo al celeberrimo Whiskey a Go Go Club in West Hollywood. E’ proprio Jim che sorprende tutti al microfono, intonando parole non in scaletta. Naturalmente, la crudezza delle frasi pronunciate fece immediatamente scalpore, dilagando già dalla mattina dopo attraverso tutto l’universo giovanile di Los Angeles. Non è cosa di tutti i giorni sentire qualcuno affermare: Father I want to kill you, Mother, I want to fuck you.

Morrison era rimasto affascinato dalla tragedia di Sofocle, sebbene vi si fosse avvicinato attraverso Nietzsche, nelle parole di simpatia che il filosofo tedesco riserva all’infelice Edipo ne La nascita della tragedia. Per Nietzsche, Edipo è «il tipo di uomo nobile che nonostante la saggezza è destinato all’orrore e alla sofferenza, ma che tuttavia, con le sue straordinarie sofferenze, esercita alla fine un fascino magico e benefico su tutti coloro che lo circondano, fascino che continua anche dopo la sua morte».
Niente di più appropriato per Jim, un ragazzo sensibilissimo, che visse con profonda sofferenza il legame con i genitori, tanto che raccontava ai suoi amici e conoscenti di essere orfano. Particolarmente difficoltoso il suo rapporto con il padre, un militare dal carattere rigido e inflessibile, che mal tollerava lo stile di vita di suo figlio, scappato di casa precocemente per errare senza fissa dimora. Ricordiamoci che siamo nell’America anni 60, in piena epoca hippie. Ecco dunque crescere in lui l’ossessione per il dramma edipico, con tutte le sue cruente conseguenze.
Il presupposto è ancora una canzone sull’amore, un amore da interrompere con decisione per raggiungere una libertà disperata e solitaria; divisione e sofferenza, l’eterno peregrinare dell’uomo, scisso dalla monade primordiale, condannato a ricercare dovunque la “perduta metà” secondo l’immaginario mitologico:
«This is the end
Beautiful friend
This is the end
My only friend, the end
Of our elaborate plans, the end
Of everything that stands, the end
No safety or surprise, the end
I’ll never look into your eyes again
Can you picture what will be
So limitless and free
Desperately in need
Of some stranger’s hand
In a desperate land…»

«Questa è la fine
Mia bella amica
Questa è la fine
Mia unica amica, la fine
Dei nostri elaborati progetti, la fine
Di tutto ciò che esiste, la fine
Nessuna salvezza o sorpresa, la fine
Non guarderò mai più nei tuoi occhi
Puoi immaginare come sarà
Cosi sconfinato e libero
Con un disperato bisogno
Della mano di qualche estraneo
In una terra disperata…»
Il brano si trascina, ipnotico e avvolgente, allineando versi di solitudine immaginifica; poi, d’un tratto, su una base improvvisata del gruppo – in seguito diventata, ovviamente, “istituzionale” – Jim proclama la sua personale tragedia edipica con pochi versi alluncinati e cupi, degni di una sceneggiatura dell'”horror” più classico:
«…The killer awoke before dawn
He put his boots on
He took a face from the ancient gallery
And he walked on down the hall
He went to the room where his sister lived
And than he paid a visit to his brother
And then he walked on down on down the hall
And he came to a door
And he looked inside
“Father?”
“Yes, son?”
“I want to kill you”
“Mother, I want to… fuck you!”…»

«… L’assassino si svegliò prima dell’alba
Si infilò gli stivali
Prese una faccia dalla vecchia bacheca
E camminò lungo il corridoio
Andò nella stanza dove viveva sua sorella
E poi fece visita al fratello
E poi camminò lungo il corridoio
E arrivò a una porta
E guardò dentro
“Padre?”
“Si, figliolo?”
“Voglio ucciderti”
“Madre, voglio… fotterti!”…»
Tutto torna al tema centrale, quindi, e il dramma si stempera nel lamento d’abbandono per la “fine”. Quasi placato dalla consumazione della propria personale catastrofe. Morrison torna a perdersi nel dilemma tra sentimento e libertà, tra certezza e inconoscibile, in una fuga perpetua che non prevede mete.
The End fu registrata nell’agosto del 1966 e pubblicata come brano conclusivo dell’album di debutto della band, The Doors il 4 gennaio del 1967.
The End è stata classificata alla posizione numero 336 della lista delle 500 migliori canzoni redatta dalla rivista Rolling Stone.
Nel 1969 Jim Morrison disse: «Tutte le volte che ascolto la canzone, significa qualcosa per me. Cominciava come una canzone d’addio, probabilmente per una ragazza, ma potrebbe essere un addio a un tipo d’infanzia. Sinceramente non lo so. Io penso che sia sufficientemente complessa e universale nel suo linguaggio da essere qualsiasi cosa si voglia».


4 commenti
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